Con il terzo numero si conclude quest’anno.
Per Filosofia de Logu è stato un anno importante: l’anno del rilancio, della nuova veste grafica, e della regolarità editoriale.
Ma questo è solo l’inizio.
Il 2023 sarà ancora più pieno: continueranno i numeri mensili, comincerà il seminario permanente e siamo a lavoro sul secondo volume di cui trovate il Call For Papers.
Quest’oggi vi presentiamo il numero di dicembre, “Sviluppo”. In esso, aperto dal lemma del Vocabolario Decoloniale di Andrìa Pili a tema Sviluppo. Anche Cristian Perra tratta nel suo contributo dell’idea di modernizzazione attraverso una analisi storico-filosofica del concetto di modernità. Zitounia Karim tratta invece il tema del riscatto delle comunità marocchine a partire dall’esperienza degli ultimi mondiali di calcio, mentre Samed Ismail continua il suo studio sull’opera e il pensiero di Ghassan Kanafani. Stefania Monti ci conduce in un itinerario nel pensiero di alcune filosofe decoloniali, mentre Mirko Muzzu analizza criticamente un recente spot della Regione Sardegna. Luca Lai ci fornisce il resoconto della conferenza Becoming Catawba: Catawba Indian Women and Nation-Building, 1540–1840 (Indians and Southern History), mentre Cristiano Sabino nel suo contributo discute del concetto di Ecologismo da una prospettiva subalterna. Infine, siamo molto felici di ospitare Valeria Deplano che ci fornisce dieci consigli di lettura per conoscere la storia del colonialismo italiano.
Ringraziamo Larentu (Lorenzo Massa) per la fantastica copertina a tema modernizzazione.
Buona lettura.
Larentu, mezzosangue di Nuoro e Cagliari. Cresciuto fra la montagne e il mare guarda in lontananza all’orizzonte. Il viaggio è l’elemento caratterizzante di un percorso visivo fatto di acquerelli e forti linee d’inchiostro. Luoghi esotici, spesso inesistenti sono la meta delle esplorazioni di Lorenzo Massa. Illustratore per passione così come la cucina, il deejaying, l’educazione e la storia della Sardegna.
Tuttavia, crescita e sviluppo economico non sono sinonimi: non può esserci sviluppo senza crescita ma può esserci anche crescita senza sviluppo. Si pensi all’aumento del PIL nell’Africa subsahariana e in Sudamerica, nel primo decennio 2000, causato dall’ascesa dei prezzi delle materie prime e rivelatrice della grande rilevanza che, in tali contesti, ha ancora il settore primario. Inoltre, nei Paesi ricchi è possibile avere fasi di recessione economica tipiche della propria condizione “sviluppata” (es. crisi di sovrapproduzione del 1929 e crisi finanziarie tra Novecento e il 2008). Da un punto di vista strutturale, invece, sviluppo economico e modernizzazione coincidono, in quanto intesi come un mutamento della composizione dei tre settori principali nella produzione di un Paese, evolvendo – lungo gli ultimi due secoli – dalla dominazione dell’agricoltura a quella del terziario, passando attraverso un periodo di industrializzazione, in termini di importanza relativa di lavoro, valore aggiunto e consumo.
Dunque, la modernità e la colonialità servono, da un lato, come prospettiva da cui analizzare e comprendere i processi, le forme di organizzazione e l’ordinamento egemonico del progetto universale del sistema–mondo (moderno e coloniale allo stesso tempo) e, dall’altro lato, per rendere visibile, a partire dalla differenza coloniale, le storie, le soggettività, i saperi e le logiche di pensiero e di vita che sfidano tale egemonia. Il moderno si contrappone al passato non come presente, ma come futuro possibile – tuttavia necessario – come una forza che imprime un movimento alla storia.
Se da un lato il trionfo della nazionale argentina sul piano calcistico, l’Iran con i suoi primi goal ad una competizione mondiale, il quasi ’exploit dell’Arabia saudita, il trionfo della nazionale marocchina con il raggiungimento della semifinale… sono aspetti che hanno consentito a molti ragazzi di varcare per la prima volta nella propria vita di confini nazionali, di coronare un sogno non così scontato per i più. Dall’altro lato si è assistito ad un mese intero in cui il mondo, sull’onda dei gol di Mbappè e Messi, ha aperto un collegamento su un mondo nuovo, un mondo inusuale, fatto di usanze, tradizioni, credi e stili di vita molto differenti da quelli che per i più erano considerati sino ad all’ora normali.
L’obiettivo polemico è la visione romanticizzata della Palestina, che è uno degli ostacoli principali sulla via della liberazione. Una certa impostazione narrativa della questione palestinese segue uno schema religioso: la Nakba è la cacciata dal paradiso terrestre, il periodo precedente al 15 maggio 1948 è un’età dell’oro irrimediabilmente perduta. L’inconsistenza storica di una simile ricostruzione è evidente; lavori come quello dello stesso Kanafani sulla rivolta del ‘36-‘39 mostrano come la “catastrofe” andrebbe retrodatata di almeno dodici anni. Tuttavia bisogna tenere presente che la storia degli storici, la storia effettiva e la sua rappresentazione sociale sono tre termini diversi. La Nakba come rappresentazione dei fatti del 1948 era necessaria, dopo il trauma subito, per lo sviluppo effettivo della storia e per la ripresa dei palestinesi, come sono necessari i miti nella storia di ogni popolo. L’efficacia della Nakba come collante per l’unità della Palestina in ogni sua compagine è innegabile. Nonostante ciò, dopo 74 anni, la questione andrebbe rivista.
Il rovescio della nazione di Carmine Conelli, uscito nello scorso dicembre per Tamu Edizioni –realtà editoriale nata nel 2018 a partire dalla libreria omonima situata nel centro storico di Napoli che si occupa di studi e società postcoloniali e decoloniali, di pensiero femminista e ecologista – è un libro importante. Si tratta di un testo la cui importanza non è esclusivamente – per così dire – di settore, ma è un testo particolarmente utile per tutte quelle soggettività situate nei territori periferici dello stato italiano per comprendere le radici e le modalità attraverso le quali si costituisce la loro subalternità.
Trovare le parole per interpretare la realtà andina del mestizaje è l’unico modo per rifiutare i processi di mistificazione che creano dicotomie culturali artificiali e che il dominio culturale occidentale ha utilizzato per tracciare il suo confine abissale. Solamente attraverso questa attenta ricerca delle giuste parole è possibile intraprendere anche pratiche decoloniali coerenti con la teoria e non piuttosto complici di politiche volte al mantenimento della paralisi del dominio, le quali agiscono attraverso la neutralizzazione della forza attuale della riflessione della collettività oppressa che lotta per la propria liberazione. L’efficacia della decolonizzazione risiede proprio nei valori comunicati dal pensiero ch’ixi, che Rivera Cusicanqui definisce come pensiero dell’abigarramiento, un pensiero screziato e impuro.
Lo spot, girato con una tecnica cinematografica eccellente, arriva alla chiusura della stagione estiva 2022, una stagione segnata dalla crescita del comparto che recupera fino quasi a superare i livelli del 2019, ultimo anno precedente alla crisi pandemica globale da n-sars-cov-2 1, ma che ha visto, a causa della guerra combattuta in Ucraina e delle conseguenti sanzioni e limitazioni imposte dalla comunità internazionale, la scomparsa del turismo russo nell’isola. È stato quindi necessario rivolgersi ad altri mercati, in particolare quelli americano e francese, nella prospettiva di un’attrattività turistica per la prossima stagione estiva 2023.
Lo scorso 8 novembre si è svolta, presso i locali dedicati alle attività studentesche della University of North Carolina at Charlotte, North Carolina (USA) la presentazione del libro Becoming Catawba: Catawba Indian Women and Nation-Building, 1540–1840 (Indians and Southern History), introdotto dall’autrice Brooke M. Bauer. L’evento è stato organizzato dalla Native American Student Association, il gruppo studentesco di Nativi Americani, che ha recentemente rilanciato le sue attività anche con il primo Powwow in dieci anni (powwow è uno dei format dei festival nativi americani, con danze, artigianato e cibo tradizionali).
La mitologia del progresso inesorabile a cui è inutile opporsi con no reazionari e conservativi, della modernità salvifica a cui solo gli stolti e gli ultimi giapponesi possono invano resistere, dell’illuminismo tecnocratico a cui unicamente i disadattati e i pazzi possono replicare squadernando insensati «tabù», sono infatti le fondamenta della logica coloniale la quale ha, dall’Ottocento fino ai giorni nostri, accompagnato tutte le fasi salienti della colonizzazione dell’isola, dal disboscamento desertificante allo sfruttamento intensivo delle cave minerarie, fino alla rimozione della lingua sarda dal discorso pubblico, all’accettazione dell’occupazione militare, all’industrializzazione pesante e alla cementificazione selvaggia delle coste.
Con questa nuova rubrica mensile intendiamo mensilmente creare una costellazione di testi che possa servire a introdurre le nostre lettrici e i nostri lettori ad un determinato argomento. Si tratta di veri e propri consigli di lettura, a mano a mano forniti dal collettivo di Filosofia de Logu.
Per questo secondo numero abbiamo chiesto a Valeria Deplano, docente di storia contemporanea pressoo l’Università degli studi di Cagliari di indicarci dieci testi testi, tutti in commercio, che possono essere utili per cominciare a studiare la storia dell colonialismo italiano.
Per ogni testo sarà fornita la quarta di copertina.
Consigliamo, in caso di acquisto, di rivolgersi alle vostre librerie indipendenti di fiducia.
La prima raccolta di saggi con cui il collettivo Filosofia de Logu si presentava ufficialmente al pubblico aveva come intento apertamente dichiarato quello di produrre uno sguardo autonomo e non subalterno sulla Sardegna. Uno sguardo che, proprio in virtù di questo suo auto-posizionamento critico, si poneva come principale obiettivo una decolonizzazione del pensiero, dell’ideologia e del senso comune sulla Sardegna e sui sardi. A partire da tale posizionamento, lo sguardo prospettico che caratterizzava il nostro primo lavoro imponeva quasi inevitabilmente di guardare all’Italia come referente principale del nostro discorso. La possibilità, cioè, di intraprendere una critica del principio di ragion coloniale in Sardegna, implicava automaticamente un rovesciamento del rapporto fra Sardegna e Continente. Questa “provincializzazione” dell’Italia è stata perciò un’operazione necessaria affinché della Sardegna si potesse provare a parlare da una prospettiva nuova, non-subalterna, decolonizzata.