L’accostamento “filosofia” e “Sardegna” può apparire – e per certi aspetti deve apparire – provocatorio.
È un accostamento che non è dato e che stupisce, non solo perché agli occhi delle convenzioni e delle ideologie dominanti non ha senso parlare di una filosofia in Sardegna come ne avrebbe invece parlare di una filosofia in uno spazio, grande o piccolo, riconosciuto. Ma stupisce anche perché si collega la filosofia alla dimensione sociale, linguistica, culturale e ideologica.
Se tuttavia pensiamo la filosofia come legata al pensiero di tutti, come noi riteniamo si debba fare, si può ben affermare che vi è sempre e ovunque filosofia, ma che semmai essa non sempre emerge come tale, in quanto non sempre il pensiero di tutti si palesa come pensiero autonomo che, in quanto tale, lacera i luoghi comuni e il pensiero imposto dall’alto.
In effetti, le lacerazioni prodotte dalla filosofia hanno un carattere dirompente e critico poiché pongono il pensiero di tutti di fronte a se stesso, ne dissolvono la scontatezza e la presunta ovvietà, ne superano l’immediatezza, rendendo esplicite e problematiche le concettualità utilizzate allo stato pratico da tutti nel loro parlare e nel loro pensare.
In Sardegna queste lacerazioni non hanno avuto sistematicamente luogo o non sono emerse, (anche) perché è stato impedito che avessero sistematicamente luogo o che emergessero.
Ma è proprio quello che noi pensiamo si debba fare.
Scriveva Placido Cherchi che «sebbene il sardo sia una lingua fortemente attraversata da retaggi filosofici (…) è una lingua che pensa poco. La sua appartenenza a una cultura dominata dal senso della comunità ha fatto sì che esso diventasse luogo di deposito delle forme sapienziali più blindate e non accordasse nessuno spazio alla creazione soggettiva del pensiero speculante» (Per un’identità critica, Cagliari, Arkadia 2013, p. 149).
Ma forse è arrivato il momento di far esplodere quelle «forme sapienziali» e liberare il «pensiero speculante» lacerando, come si è detto, il pensiero di tutti e aprendo un percorso di ricerca che non è solo ricostruttivo (grazie anche all’apporto delle scienze umane) ma anche creativo (se si intende il creativo come un bricoleur e non lo si immagina fittiziamente come colui che inventa dal nulla).
Non si tratta naturalmente di formulare una qualsivoglia filosofia o far finta ideologicamente che vi sia una sola filosofia: la filosofia che intendiamo rintracciare vuol essere critica dei rapporti di dominio che incombono sulla Sardegna, la soffocano ed anche la attraversano. In estrema sintesi un anticorpo all’alienazione culturale che alligna nel pensiero dei sardi, specie di quelli acculturati e con responsabilità di alto grado nel sistema di produzione e riproduzione della cultura ufficiale.
La filosofia a cui vogliamo lavorare non è però la filosofia dei soli filosofi, bensì ambiamo a costruire un laboratorio dove diverse figure procedano alla critica della ragione coloniale e di quella autonomista e producano teorie non subalterne elaborando quadri concettuali e narrazioni alternativi a quelli dati dei canali ufficiali che, a nostro parere, risultano insufficienti e spesso mistificanti.
Ambiamo insomma a mettere in rete tutti coloro che esercitano con rigore la critica rispetto alle epistemologie coloniali o semi-coloniali che, a nostro avviso, intossicano il dibattito intellettuale sardo. La filosofia è qui intesa sia come strumento di comprensione del reale (una comprensione specifica) sia come fine. In altri termini, uno degli obiettivi del progetto è la ri-costruzione di una filosofia – ossia di una idoneità alla produzione di categorie di pensiero – plurale ma orientata e orientante, che sappia incidere nello spazio sardo e che elabori competenze adeguate alla sua lettura autonoma, avvalendosi dell’apporto strutturale delle altre scienze umane (sociologia, antropologia, storia, politologia, linguistica ma anche altre discipline non umanistiche come statistica, economia, scienze agrarie etc.). A tal fine, pensiamo sia utile promuovere un articolato gruppo di ricerca che ricolleghi i fili spezzati delle ricerche di tutti quegli autori che hanno già fatto prove di critica della“ragion coloniale”, come per esempio Antoni Gramsci, Antoni Simon Mossa, Cicitu Màsala, Placido Cherchi, Bachis Bandinu e Mialinu Pira.