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La possibilità di suggerire dei testi che permettano di farsi un quadro complessivo ed esaustivo dell’archeologia della Sardegna è facilitato dalla pubblicazione di due collane, differenti nell’impostazione. La prima voluta dalla RAS– edita tra il 2014 e il 2018 – rientra nel progetto regionale Corpora delle antichità della Sardegna con il quale è stata realizzata la catalogazione di migliaia di reperti archeologici presenti nei musei sardi. I sei volumi editi hanno, quindi, un’impostazione catalografica, anche se il catalogo è preceduto da saggi che permettono di contestualizzare i vari reperti.
La seconda iniziativa realizzata dalla casa editrice Ilisso di Nuoro, sviluppa una collana denominata “Cultura, storia e archeologia della Sardegna”. I cinque volumi editi, sono anch’essi relativi alle varie fasi culturali e cronologiche, ma hanno una impostazione più rivolta ai temi e ai problemi che non alla catalogazione. Altra differenza è data dalla sequenza dei volumi: nei Corpora all’età nuragica sono dedicati due volumi, mentre nella collana dell’Ilissodell’Ilisso un volume specifico è dedicato alla Sardegna tardoromana e altomedievale/autogiudicale.
È consigliata la lettura comparata delle due collezioni, al fine di avere un quadro sia materiale sia problematico delle varie fasi e verificare la pluralità delle impostazioni, delle scuole e delle interpretazioni, non sempre coincidenti, in un dibattito vivace e ricco di stimoli. [1]
In breve:
1) Alberto Moravetti, Paolo Melis, Lavinia Foddai, Elisabetta Alba (a cura di), La Sardegna Preistorica. Storia, materiali, monumenti, Delfino editore, Sassari, 2017 (Corpora delle antichità della Sardegna).
Liberamente scaricabile da: https://www.sardegnadigitallibrary.it/index.php?xsl=626&id=680228
Volume propriamente paletnologico, legato agli aspetti materiali e classificatori. Permette di avere un quadro ampio e sufficientemente chiaro della successione di aspetti culturali, della lunga preistoria, che qui si fa iniziare dal Paleolitico. Ma è soprattutto nel Neolitico che si manifesta una decisa rottura rispetto alle fasi precedenti (mesolitiche e paleolitiche), quando circa 7500 anni fa la Sardegna viene popolata integralmente. Nel tempo i nuovi colonizzatori dell’isola si portano appresso tutta la grande fauna sia domestica (ovicaprini, bovini e suini), sia selvatica (cervi), sia rinselvatichita (cinghiali e mufloni). Ma anche la vegetazione vede dei cambiamenti con l’introduzione, ad esempio, delle numerose varietà di cereali e altri vegetali utili all’alimentazione, che contribuiscono al cambiamento ecologico del paesaggio sardo. La successione delle “Culture”, in realtà spesso ‘facies’ delle stesse, avviene per crescita interna e per diffusione regionale fino alla vera e propria Cultura pan-sarda, nota come “cultura di San Michele di Ozieri”. Il contatto delle evoluzioni successive di questa cultura con provenienze esterne, sicuramente la facies campaniforme europea e probabilmente quella Monte Claro. Da questo crogiolo nascono le prime esperienze megalitiche, prologo non inevitabile della successiva fase nuragica. Particolarmente interessante la cautela nell’affrontare il tema religioso, per ora limitato a manifestazioni di interesse per qualcosa che trascende l’ordine materiale.
2) Tatiana Cossu, Carlo Lugliè (a cura di), La Preistoria in Sardegna. Il tempo delle comunità umane dal X al II millennio a. C., Ilisso, Nuoro, 2020 (Cultura, storia e archeologia della Sardegna).
Anche questo testo affronta la storia della Sardegna dal Mesolitico alla formazione della società nuragica, ma con un progressivo abbandono della suddivisione tradizionale di questa storia basata sulla tecnologia (della pietra e dei metalli) a favore di una impostazione basata sulle trasformazioni sociali, economiche e culturali; così come la critica della dicotomia preistoria/storia frutto di vecchi pregiudizi che distinguevano tra società semplici e società complesse, tra popoli letterati e altri illetterati. Lo scopo è quello di indagare le strutture socio-economiche della società. I dati sono, ovviamente gli stessi del volume dei Corpora, ma le differenze sono molteplici. A iniziare dai dubbi sulla effettiva consistenza di una fase paleolitica non ancora suffragata da evidenze stratigrafiche ma basata esclusivamente su aspetti tipologici, forieri di altre interpretazioni. È presente una convincente critica al ‘mito’ del matriarcato originario, un’analisi sulla navigazione preistorica e sui metalli. Anche qui si riprende l’ipotesi di una possibile provenienza o influssi esterni, per la Cultura di Monte Claro, per la quale viene avanzata cautela sulla connessione con le prime strutture megalitiche fortificate.
3) Alberto Moravetti, Lavinia Foddai, Elisabetta Alba (a cura di), La Sardegna Nuragica. Storia e materiali, Delfino editore, Sassari, 2014 (Corpora delle antichità della Sardegna).
Liberamente scaricabile da: https://www.sardegnadigitallibrary.it/index.php?xsl=626&id=676227
4) Alberto Moravetti, Paolo Melis, Lavinia Foddai, Elisabetta Alba (a cura di), La Sardegna
Nuragica. Storia e monumenti, Delfino editore, Sassari, 2017 (Corpora delle antichità della Sardegna).
Liberamente scaricabile da: https://www.sardegnadigitallibrary.it/index.php?xsl=626&id=680223
I Corpora dedicano due volumi all’età nuragica, uno focalizzato sui monumenti e l’altro sui materiali. Con analisi specifiche sulle varie tipologie di monumenti dai ‘protonuraghi’ (con discussione sul termine) dell’età del Bronzo alle strutture santuariali dell’età del Ferro. In quest’ultimo caso vengono analizzate non solo per gli aspetti architettonici ma, in particolare, per il loro legame con le ideologie del potere e l’analisi dei processi che portano alla ‘crisi’ della società nuragica. Particolare interessante l’utilizzo di categorie gramsciane per l’analisi del cd ‘modelli di nuraghe’, meglio definibili come ‘rappresentazioni’. Un capitolo è dedicato alla Corsica e un altro alle Baleari per gli opportuni confronti con le rispettive società e monumenti megalitici. Il primo dei due volumi, che contiene il catalogo dei materiali (circa 500 pezzi) ha una prima parte dedicata a temi generali, sull’architettura ma anche sulla storia, sugli aspetti politici e su quelli sociali, con testi estremamente originali, non solo per le tesi sostenute ma soprattutto per il fatto che questi discorsi entrino a far parte anche della narrazione archeologica sarda, talvolta disat tenta.
5) Tatiana Cossu, Mauro Perra, Alessandro Usai, Il tempo dei nuraghi. La Sardegna dal XVIII all’VIII secolo a. C., Ilisso edizioni, Nuoro, 2018 (Cultura, storia e archeologia della Sardegna).
Il volume, pur basandosi sugli stessi dati dei due precedenti (Corpora) ha un’impostazione completamente differente. Viene proposta una visione della “cultura” che porta a superare le tradizionali definizioni archeologica e antropologica per analizzare criticamente il rapporto tra le società e i manufatti, evitando una identificazione meccanica tra le due. La lettura del volume porta a un radicale ripensamento dell’impostazione degli studi nuragici rispetto alla precedente eredità otto-novecentesca. Vengono indagati i rapporti tra uomo e ambiente, l’insediamento e il controllo del territorio, produzione e vita quotidiana, ritualità, scambi e organizzazione sociale. Infine, l’ultima parte introduce il tema dei cambiamenti dell’Età del Ferro e dell’incontro con i Fenici al quale verrà dedicato il volume successivo. Elemento caratteristico di questa collana è il richiamo tra i volumi.
6) Michele Guirguis (a cura di), La Sardegna Fenicia e Punica. Storia e materiali, Ilisso Edizioni, Nuoro, 2017 (Corpora delle antichità della Sardegna).
Liberamente scaricabile da: https://www.sardegnadigitallibrary.it/index.php?xsl=626&id=680220
Un volume che permette di avere un quadro complessivo e aggiornato della ‘Sardegna fenicia’. La prima parte è dedicata al quadro storico e culturale nel quale avviene l’incontro tra Nuragici e Fenici. La seconda è dedicata ai principali siti archeologici urbani con approfondimenti sugli spazi rurali. La terza spazia attraverso gli aspetti della vita quotidiana, del pensiero religioso e delle pratiche funerarie. L’ultima parte fa un’ampia disamina delle categorie artigianali che fa da illustratore dell’ampio catalogo di reperti, all’interno della finalità della collana: creare un corpus di reperti.
7) Carla Del Vais, Michele Guirguis, Alfonso Stiglitz, Il tempo dei Fenici. Incontri in Sardegna dall’VIII al III sec. a. C., Ilisso editore, Nuoro, 2020(Cultura, storia e archeologia della Sardegna) 2019.
Il libro si caratterizza per la compresenza di una pluralità scuole con differenti impostazioni, come esempio di pluralismo scientifico. Nonostante il sottotitolo sono assenti limiti crono-culturali rigidi, non inizia tutto il 1° gennaio dell’800 a. C. e non finisce tutto il 31 dicembre del 238 d. C.,quando la Sardegna passa ai Romani. I testi iniziali ci raccontano degli incontri tra comunità nuragiche e fenicie; quelli alla fine del volume vertono sulla complessità culturale e politica della romanizzazione nella quale rimangono attive le componenti ‘nuragiche’ e ‘puniche’ che sono anche romane: i Fenici non arrivano nel deserto e non scompaiono nel nulla. Vengono discussi e superati i pregiudizi: nell’immaginario popolare e scientifico i Fenici – per principio – sono considerati esclusivamente come commercianti, furbi e traditori, tendenzialmente maschi o, in qualche caso, donne tragiche o fatali (corruttrici). La produzione agricola e mineraria, l’artigianato e, ovviamente, la navigazione e i commerci (parte di una realtà complessa) riequilibrano il pregiudizio.
Due sono gli elementi di novità che l’arrivo di gruppi di Fenici comporta: il prihmo è il fenomeno urbano, processo nel quale sono protagoniste anche le popolazioni nuragiche. E con la città nasce, per la prima volta quel modello di relazioni città-campagna: l’organizzazione dello spazio rurale in funzione e in immagine dello spazio urbano. Il secondo è il complesso e vasto mondo religioso, dalle divinità complesse, plurali, che non sempre siamo sempre in grado di decifrare, a causa della nostra mentalità monoteista. Un focus particolare è destinato a una equilibrata lettura del santuario tofet.
8) Simonetta Angiolillo, Rossana Martorelli, Marco Giuman, Antonio Maria Corda, Danila Artizzu (a cura di), La Sardegna Romana e Altomedievale. Storia e materiali, Delfino editore, Sassari, 2017 (Corpora delle antichità della Sardegna).
Liberamente scaricabile da: https://www.sardegnadigitallibrary.it/index.php?xsl=626&id=676810
Il libro frutto del lavoro di numerosi autori spazia dal III sec. a.C., momento nel quale la Sardegna passa sotto il potere di Roma a seguito della fine della prima guerra punica sino agli inizi dell’età giudicale. La parte romana, prevalente, si sofferma sugli aspetti storici, sulle città e su quelli archeologici e, quindi sui termini istituzionali e culturali. L’impostazione, a differenza degli altri volumi della collana, è storica, più che archeologica, con una preminenza delle letture basate sui testi letterari ed epigrafici, sono oltre 1600 iscrizioni rinvenute in Sardegna. Una terza parte, più limitata, è dedicata all’età altomedievale, attraverso un’analisi generale sulle città e sul alcune categorie artigianali. Chiude il volume l’ampio catalogo con 500 schede di reperti.
9) Romina Carboni, Antonio Maria Corda, Marco Giuman (a cura di), Il tempo dei Romani. La Sardegna dal III secolo a. C. al V secolo d. C., Ilisso editore, Nuoro, 2021 (Cultura, storia e archeologia della Sardegna).
Il testo, che vede la partecipazione di 39 autori, si articola in più parti. La prima è quella generale dedicata all’inquadramento storico, seguita da una parte sull’organizzazione del territorio e sulla visione dei romana dei “popoli” della Sardegna interpretati come Natio sarda, cui segue l’analisi della romanizzazione attraverso le strutture, in particolare la viabilità e le città. Si discute l’esistenza o meno di un Limes tra Romània e Barbària, per evidenziare come, in realtà non ci sia alcuna evidenza di questo. La fitta organizzazione rurale e viaria riguarda, infatti, l’intera isola. Viene sottolineata l’importanza dell’epigrafia per la ricostruzione storica, sociale e culturale; quella delle zone interne ci mostra una complessità culturale e sociale nella quale coesistono individui portatori di identità di origine diverse, locali o esterne. Anche che dal punto di vista linguistico la Sardegna romana attesta la coesistenza di una pluralità di lingue, oltre al latino, attestate a livello scrittorio, come ad esempio la trilingue (punico, greco, latino) di San Nicolò Gerrei. Altri approfondimenti sono legati alla vita quotidiana. La parte finale è di collegamento con il volume successivo dedicato al passaggio al medioevo.
10) Sabrina Cisci, Rossana Martorelli, Giacomo Serreli, Il tempo dei Vandali e dei Bizantini. La Sardegna dal V al X secolo d. C., Ilisso edizioni, Nuoro, 2022 (Cultura, storia e archeologia della Sardegna).
Il volume rappresenta una novità nel panorama editoria, il primo che viene dedicato a questi periodi un po’ trascurati. 28 studiosi presentano un amplissimo quadro della Sardegna di queste fasi, ribaltando con decisione la visione di un’assenza o di periodi bui. Storia, territorio, insediamenti, vita quotidiana, religiosa e politica, fino alla nascita dei giudicati. Interessante il capitolo sul dux Ospitone finalmente riportato alla realtà storica oscurata dalle narrazioni resistenziali. La progressiva cristianizzazione della Sardegna comporta notevoli cambiamenti a partire da quelli urbanistici con il sempre maggiore avvicinamento al nordafrica, sino al secolo del dominio vandalo, ancora archeologicamente evanescente e nel quale inizia a emergere un ruolo non secondario dell’isola. Segue la Sardegna bizantina, realtà complessa e articolata, che vede il progressivo passaggio a una autonomia sostanziale. Chiude un’accurata indagine sui prodromi della formazione della società giudicale.
11) Mauro Perra, Riccardo Cicilloni (a cura di), Le tracce del passato e l’impronta del presente. Scritti in memoria di Giovanni Lilliu, Quaderni di Layers, 2018.
Liberamente scaricabile da: http://ojs.unica.it/index.php/layers/issue/view/113
Per comprendere meglio l’archeologia della Sardegna è opportuno e indispensabile conoscere la storia della disciplina nell’isola, soprattutto per evidenziare la formazione dei modelli di indagine e il loro superamento. Sono ancora pochi gli approfondimenti sulle principali figure formative. Il volume qui presentato deriva dal convegno che si tenne a Villanovaforru nel 2014, in occasione del centenario dalla nascita. Giovanni Lilliu porta lo studio della preistoria sarda e dell’archeologia nuragica a livelli scientifici che esulano il mero dato archeologico, trasformandoli in elemento fondante della sardità; non a caso nel suo lungo lavoro all’Università si fa promotore di decise azioni a favore della lingua sarda e crea la scuola specializzazione in Studi Sardi. Al di là della miriade di studi scientifici che spaziano dalla preistoria al medioevo il suo contributo è legato alla creazione dei due modelli di analisi con i quali tuttora l’archeologia sarda deve fare i conti anche se ormai risultano, come normale, sostanzialmente superati o, per lo meno, trasformati. Il primo modello è quello della Civiltà nuragica, con il quale porta a compimento l’opera di Taramelli, facendo assurgere il periodo dell’età del Bronzo e del Ferro alla definizione di Civiltà, fino ad allora riservato a società più complesse. Un modello che finisce per ampliarsi nella più complessa definizione di “Civiltà dei Sardi”. Il secondo modello, quello della “costante resistenziale sarda”, meno elaborato del precedente, concerne il periodo delle ‘conquiste’, quella cartaginese del VI secolo e quella romana poi. È la fase della perdita della frontiera paradiso e della libertà dei sardi. Non è un caso se l’elaborazione di questo modello si sviluppi in sintonia con i movimenti di liberazione anticoloniali nel mondo. Modello, ancora oggi molto in voga soprattutto tra gli appassionati e in una parte limitata degli studiosi , decisamente superato dalle riflessioni che a partire dagli anni settanta vanno sotto il nome di studi postcoloniali.
12) Massimo Casagrande, Maura Picciau, Gianfranca Salis (a cura di), Antonio Taramelli e l’archeologia della Sardegna, Atti delle giornate di studio (Abbasanta 17-18 maggio 2019), Cagliari – Sassari, Soprintendenze Abap, 2019.
I singoli testi sono generalmente scaricabili dalle pagine degli autori in https://www.academia.edu/
Tra i volumi sulla storia dell’archeologia eccelle quello su Taramelli: figura importantissima al quale si deve la vera creazione dell’archeologia scientifica, soprattutto di quella nuragica. Friulano di origine, arriva in Sardegna nel 1902 come Ispettore presso la Soprintendenza archeologica regionale per, poi, diventare Soprintendente; contemporaneamente fu libero docente presso l’Università di Cagliari; resterà legato all’isola sino al pensionamento nel 1933, rifiutando prestigiosi incarichi in Italia. A lui e al suo assistente Filippo Nissardi, si devono numerosi scavi archeologici condotti in tutta l’isola, regolarmente pubblicati. È lui il vero padre dell’archeologia nuragica, alla quale dedicò moltissimi lavori. Attuò politiche di tutela, ancorché in assenza di una normativa sufficientemente formalizzata e attivò, con la redazione della Carta archeologica, una vera e propria attività di archeologia pubblica ante-litteram. Personaggio complesso, aderisce convintamente al fascismo, anche se questo non incide in modo determinante sulla pratica scientifica, tenuta distinta da quella politica. Nel 1934, a seguito del pensionamento, viene nominato Senatore del Regno. L’abbandono dell’attività pratica e del ruolo ufficiale in campo archeologico e, soprattutto, i gravi dissidi con il successore nella carica di Soprintendente, Teodoro Levi, portarono Taramelli a una deriva francamente razzista nel 1938.
Note:
[1] In 5 volumi che cito, su 12, sono presenti miei saggi, uno dei volumi è anche curato da me; quindi, esplicito il mio chiaro conflitto di interesse parziale.
Le mie competenze principali sono in ambito archeologico; sono, infatti, laureato in Lettere classiche con indirizzo archeologico e poi specializzato in archeologia presso l’Università di Cagliari, dove ho anche insegnato archeologia per alcuni anni, a contratto. Svolgo la mia professione di archeologo da quaranta anni, in una condizione molto particolare perché sono uno dei rari archeologi comunali di ruolo in Sardegna. Dirigo il Museo archeologico di San Vero Milis (OR) e la concessione di scavo archeologico di cui è titolare il Museo in alcuni siti archeologici del suo territorio. Altre attività di scavo le svolgo a Cagliari, sulla Sella del Diavolo e a Settimo San Pietro, in collaborazione con l’Università. I miei ambiti di interesse riguardano, da una parte, il primo millennio a.C. e il problema degli incontri di culture in Sardegna e nel Mediterraneo; dall’altra il problema della tutela e della gestione comunitaria dei Beni Culturali. All’interno di questo ho partecipato alla ultradecennale campagna di difesa della necropoli di Tuvixeddu-Tuvumannu svolta a Cagliari dalla Legambiente. Faccio anche parte del comitato scientifico regionale dell’Associazione.