UN MONDO STRAORDINARIO: L'AUTORAPPRESENTAZIONE ARCAIZZANTE DEI SARDI NELLO SPOT TURISTICO

di Mirko Muzzu

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L’ultimo spot della regione Sardegna per la promozione turistica del territorio, girato da Manuele Trullu, promettente giovane regista sardo, ci parla in modo sconvolgente dei progetti di sviluppo economico della classe dirigente, nonché dell’autorappresentazione dei sardi, profondamente influenzata da quegli stessi modelli di sviluppo.

Lo spot, girato con una tecnica cinematografica eccellente, arriva alla chiusura della stagione estiva 2022, una stagione segnata dalla crescita del comparto che recupera fino quasi a superare i livelli del 2019, ultimo anno precedente alla crisi pandemica globale da n-sars-cov-2 1, ma che ha visto, a causa della guerra combattuta in Ucraina e delle conseguenti sanzioni e limitazioni imposte dalla comunità internazionale, la scomparsa del turismo russo nell’isola. È stato quindi necessario rivolgersi ad altri mercati, in particolare quelli americano e francese, nella prospettiva di un’attrattività turistica per la prossima stagione estiva 2023.

Il primo problema che si pone è l’incapacità, o la non volontà, delle classi egemoni in Sardegna, politiche ed economiche, di valutare e incentivare un diverso modello economico, non esclusivamente incentrato sull’industria turistica, a cui, ogni altro settore, dall’agro-alimentare all’artigianato, è ora asservito.

Ma oltre al fattore economico, lo spot è un utile strumento di analisi culturale, anche per il clamore mediatico che ha suscitato. Nei social l’indignazione è esplosa per una scena in particolare in cui un Mamuthone fuoriesce dall’acqua provenendo dai fondali del mare isolano. Fra le tante criticità dello spot, questa ci sembra in realtà la meno rilevante. Tale sequenza, per quanto fuori luogo, potrebbe essere infatti inquadrata in un processo di rifunzionalizzazione, risignificazione e attualizzazione dei simboli culturali che è invece, auspicabile, in quanto vivifica la cultura, evitandone la sclerotizzazione e la riproposizione in forme fisse e folklorizzate.

La brevità dello spot, appena 90 secondi, dà la possibilità di esaminarlo in maniera piuttosto approfondita, rilevandone le tante criticità e qualche sporadico punto di forza.

Gli elementi: due surfisti e il mare al tramonto, vegetazione, massi granitici, non ben identificati nuraghi, il mamuthone, un anziano in completo di fustagno o velluto tra le rocce de su Gorroppu, una giovane donna con un abito di Desulo, l’isola di Tavolara; il tutto con la presenza dell’attrice Caterina Murino.

Il filmato si apre con il solito richiamo al mare, con un uomo e una donna che si lanciano tra le onde con la loro tavola da surf, riproponendo ancora una volta un turismo balneare, seppur declinato in ambito sportivo, che tanto soffoca e intacca gli ecosistemi endemici; a fare da contro altare le immagini di una Sardegna che “non è solo mare”: per cui eccoci a sorvolare boschi e foreste, senza che venga data un’indicazione sul luogo, su ciò che si vede, potrebbe trattarsi di un bosco sardo, così come di uno alpino o della Foresta Nera.

E poi i nuraghi, inquadrati da terra e dal cielo, anche questi privi di contesto, lo spettatore non ha idea di dove andare a vederli, come raggiungerli. Unica nota storica di questo mini viaggio in Sardegna, seppur grandiosa, la proto-storia nuragica, non è la sola storia della Sardegna. E così manca la classicità, i colossali Bes, le statue greche e romane, i mosaici che anche qui affiorano dagli scavi; mancano gli innumerevoli strati di Nora e di Tharros che raccontano le conquiste subite, ma a cui si è resistito

Manca il Medioevo del contatto con gli arabi 2 e dei Giudicati, con i castelli a fare da guardia: Sanluri, Montiferru, Baldu, Balaìana; manca Eleonora d’Arborea, colei che guidò la resistenza sarda contro gli spagnoli e che, se la Sardegna fosse realmente entrata a far parte della storia nazionale nel suo uso pubblico, avrebbe potuto essere tra gli antesignani della lotta contro lo straniero, al pari di Masaniello, Balilla e dei Vespri siciliani 3; non ha le sue chiese romaniche, San Michele, Saccargia, Bonaria, Santa Maria di Bonarcado.

La Sardegna non ha storia neanche nell’età moderna, nessuna delle torri Quattro – Cinquecentesche che costeggiano l’isola e che recentemente hanno dato vita al Cammino delle 100 Torri 4 né i cannoneggiamenti francesi su Cagliari per profittare della Rivoluzione già in corso per un tentativo di invasione.

L’isola di Sardegna non ha una storia contemporanea e non ha nulla da offrire neanche qua, non ha le batterie di Talmone e Santo Stefano, dove si combatté la prima battaglia contro il nazismo all’indomani dell’armistizio e dell’ignobile fuga del re, non la Passeggiata coperta di Cagliari e i suoi bastioni, non Nuoro, l’Atene sarda con Deledda e Satta, né il razionalismo fascista, eppure affascinante, di Carbonia o Fertilia; tanto meno la sua archeologia industriale, fatta di cave e miniere, i luoghi del movimento operaio che pure dalla Sardegna tanto ha dato all’Italia e al mondo: il sangue dei morti di Buggerru 5, la mente del suo illustre figlio Antonio Gramsci.

No, la Sardegna è ferma al suo passato ancestrale, forse qualche turista penserà anche i nuraghi sono le abitazioni dei sardi di oggi e che si continui a vestirsi con gli abiti tradizionali, se non con le pelli. La Sardegna è un posto fatato sospeso in un tempo magico, come le Indie e la Malesia, come il “magico” Maghreb, esotica, come tutti gli altri luoghi di conquista.

Ma un tempo c’è nella pubblicità, ed è il tempo della vita umana: gioventù e vecchiaia. Una giovane donna nell’abito di Desulo, bella e sorridente. La donna indigena esposta come invito, il supremo atto di conquista coloniale che annulla miseramente e degrada l’insignificante tentativo di celare Murino sotto la maschera del mamuthone, per combattere il maschilismo imperante. E anche qui, si decide di scardinare il maschilismo della società pastorale, di portare la Sardegna in una modernità in cui, solo retoricamente e neanche formalmente, figurarsi sostanzialmente, si è raggiunta la parità tra uomo e donna. L’anziano negli abiti de “su possidente”, il pesante completo di velluto nero, che accarezza chissà per quale motivo le rocce de Su Gorroppu, il canyon mai inquadrato nella sua reale maestosità: uno strano tipo antropologico da visitare, e magari fotografare, nel suo habitat naturale, i piccoli paesi dell’interno, evoluzione safaristica degli zoo umani di lombrosiana ispirazione 6.

Scompare persino il presente e le grandi manifestazioni sportive e culturali non sono un’attrazione per rappresentare l’isola all’estero, salvo poi, una volta svoltesi, decantarle come un’ottima occasione per la promozione turistica del territorio e il non detto sembra suggerire che “non fraintendete, non facciamo nulla per i locali, tutto è rivolto a voi, gentili turisti, anche quando non lo diciamo espressamente”. Scompaiono dunque le tappe sarde dei campionati nazionali e mondiali di Rally, Aquabike, Biliardo. Scompaiono i festival musicali di Bolotana e Valledoria, che si stanno imponendo nel panorama europeo, i tanti festival letterari. Scompare tutto, eccetto il racconto di una Sardegna antica e misteriosa, tutta da conquistare: le onde del mare, le profondità dei boschi, le cime dei monti come novelli La Marmora e, se se ne ha l’occasione, persino le donne.

Un processo di essenzializzazione in cui si decide di identificare, soprattutto nei tratti culturali, dagli abiti alle maschere, un ampio territorio con una sua sola parte, quella più interna, negando a una terra la suadiversità interna, la “complessità specifica dei territori” 7 come fu già fatto in Africa, dove “tutti erano neri” e per questo uguali e accomunabili in entità territoriali artificiali e decise unilateralmente dai colonizzatori.

Il filmato si conclude con un libro che si chiude: la storia raccontata dall’attrice a una bambina, così che l’introiettamento di categorie coloniali prosegua nelle generazioni successive.

Un accento positivo è forse il Gigante che innalza un mamuthone ormai smascherato. Seppur si tratti di una raffigurazione lontana dalla più probabile nomenclatura scientifica di “eroi”, quelle statue, ritrovate per la prima volta quaranta anni fa hanno permesso una mitopoiesi pari a quella nazionale, forse eccessiva e talvolta sconfinante nella fanta-archeologia, e tuttavia priva di derive folkloristeggianti come quelle adottate da alcuni partiti politici nel recente passato, come ha ben dimostrato l’antropologo Fiorenzo Caterini nel suo testo La mano destra della storia.

Non è questo il luogo per capire se il corto raggiungerà l’obiettivo pubblicitario che i promotori si sono proposti, né chi scrive è in grado di stimarlo. Sarebbe interessante verificarlo con opportune e mirate indagini di mercato, o attendere i risultati della prossima stagione turistica. Non possiamo che augurarci che la promozione funzioni al meglio, almeno per la sussistenza di tutti coloro che in Sardegna grazie al turismo trovano salari, seppur troppo spesso insufficienti. Ma non si possono tacere i danni culturali che questo tipo di promozione arreca, davanti a un bivio tra la sopravvivenza economica e quella culturale, con la certezza che il fallimento dell’una sia il fallimento anche dell’altra.

Lo spot della Regione Sardegna dovrebbe parlare agli altri, ma forse parla molto di più a noi di noi stessi. Un giovane regista, preparato e che, è evidente, ama la sua terra e la sua cultura, ma ancora figlio di categorie imposte da altri. Una visione della Sardegna aderente al modello egemone, l’autorappresentazione di un oggetto coloniale che non riesce a portare avanti la sua rivolta.

Note:

1 https://www.ansa.it/sardegna/notizie/2022/09/29/stagione-boom-in-sardegna-superati-arrivi-pre-covid_abd64802-787f-4b13-bd66-1ee998aded75.html

2 Per una ottima sintesi sull’argomento si veda: ZEDDA Corrado, Bisanzio, l’islam e i giudicati: la Sardegna e il mondo mediterraneo tra VII e XI secolo.

3 CATERINI Fiorenzo, La mano destra della storia

4 https://www.cammino100torri.com/

5 In seguito alla morte di tre minatori durante le proteste per la riadozione dell’orario lavorativo invernale, che vedeva la riduzione della pausa pranzo, la Camera del Lavoro di Milano indisse il primo sciopero generale nazionale.

6 Fra gli altri lavori sugli zoo umani, si veda: ABBATISTA Guido, Umanità in mostra : esposizioni etniche e invenzioni esotiche in Italia (1880 – 1940), Trieste, Edizioni Università di Trieste, 2013.

7 FILIPPI Francesco, Noi però gli abbiamo fatto le strade : Le colonie italiane tra bugie, razzismi e amnesie, Torino, Bollati Boringhieri, 2021, pg. 95.

Mirko Muzzu

Mirko Muzzu

Studente di scienze storiche e filosofiche all'università di Sassari. Si laurea in lettere con una tesi sull'antifascismo in Gallura. I suoi principali interessi di studio vertono sulla storia contemporanea, in particolare sulla storia della Sardegna, storia coloniale italiana e storia industriale e relativa storia del movimento operaio, nonché sui fenomeni di uso pubblico della storia.